LE ORIGINI

La leggenda vuole che la città sia stata fondata dall’eroe greco Diomede, il quale le regalò le zanne del cinghiale Caledonio, oggi simbolo di Benevento, che figura sullo stemma della città ed è incastonato sul lato est del Campanile del Duomo.

L’etimologia del nome Benevento ha consentito ai filologi di sbizzarrirsi e infatti le interpretazioni sono molteplici. Malòeis si ricollega a Malon o Melon che significa “gregge di pecore o capre” ed, essendo una forma aggettivale greca, il suo significato è “altura piena di mandrie di pecore e capre”.

Ma l’appellativo può essere riferito anche ad Apollo Malòeis, protettore del gregge o al toro, animale sacrificato spesso nelle feste di ringraziamento campestri. Mallos è anche il vello della pecora.

I romani lessero Maloenton, che è genitivo di Malòeis, come “Malum eventum” e perciò lo cambiarono in “Bonum eventum” dopo la vittoria su Pirro nel 275 a.C.. Insomma Benevento era, nella sua felice posizione geografica tra due fiumi, “terra di pascoli irrigui e di greggi copiosi”.

L’antica regione del Sannio era compresa nella conca appenninica tra il massiccio del Matese a nord, il Taburno ed il fiume Volturno ad ovest, i monti del Partenio e del Terminio a sud ed i monti Dauni con il Fortore ad est. I primi abitanti furono i Sanniti che, nel IV secolo a.C., si suddivisero in Irpini, che abitavano le valli dei fiumi Sabato, Calore ed Ofanto, Pentri, che abitavano il massiccio del Matese e Caudini che occupavano la florida città di Caudium. La posizione geografica di Benevento, alla confluenza dei fiumi Sabato e Calore, era invidiabile ed importante dal punto di vista strategico. Gente aspra e bellicosa, decisa a primeggiare nel mezzogiorno, gli abitanti erano in contatto con gli altri popoli circostanti e la velleità di espansione ed il desiderio di dominio li fecero entrare in conflitto con i Romani.

IL PERIODO ROMANO

Le guerre cosiddette sannitiche, che si combatterono tra Roma ed i Sanniti dal 349 al 290 a.C., sconvolsero, con le loro alterne vicende, la vita pacifica degli “abitanti della montagna”. La battaglia più famosa avvenne alle Forche Caudine, in prossimità dell’attuale Arpaia. I Romani vinti nel 321 dai Sanniti, guidati dal generale Caio Ponzio Telesino, furono costretti a passare sotto il giogo, formato da due lance conficcate verticalmente nel terreno e da una posta orizzontalmente su di esse.

Ma non si diedero per vinti, si riarmarono e nel 295 a.C. inflissero una solenne e definitiva sconfitta ai Sanniti. Benevento acquistò così una conformazione ed una pianta edilizia tipicamente romane.

Instaurò buoni rapporti con Roma tanto che, sotto Augusto, acquistò il titolo di “Colonia Iulia Concordia Augusta Felix Beneventum”. La fama, di cui Beneventum godeva a Roma, anche perché importante nodo stradale, fece sì che gli stessi imperatori si fermassero durante i loro spostamenti ed i loro viaggi.

Tacito ci dice che Nerone si fermò per qualche giorno, nel 64 d.C., per assistere ad uno spettacolo gladiatorio, offerto da Vatinio, ciabattino beneventano dal capo deforme, che si era arricchito ed aveva fatto carriera politica. Si narra che l’imperatore si esibì nell’Anfiteatro Romano i cui resti sono recentemente venuti alla luce nei pressi di Port’Arsa e del Ponte Leproso.

Appartengono a questo periodo il Teatro Romano, L’Arco Traiano, L’Arco del Sacramento, il Bue Apis, l’Obelisco Egizio ed il Ponte Leproso.

IL PERIODO LONGOBARDO

Dopo il crollo dell’Impero Romano d’Occidente, Benevento diventa dominio dei Goti, vivendo un periodo oscuro, a causa delle nefaste conseguenze della guerra greco-gotica (535-553). Nel 536 la conquista Belisario, generale bizantino, ma nel 543 Totila, Re degli Ostrogoti, la riconquista, infierendo sulla Cinta Muraria e distruggendo gran parte degli antichi monumenti. Infine la sottomette Narsete, generale bizantino, annettendola al dominio bizantino. La durezza, la caparbietà e la sete di dominio, che ha sempre caratterizzato i Sanniti, porta Benevento ad avere un ruolo di guida durante il dominio longobardo.

Infatti, nel 570, giungono in città i Longobardi e vi rimarranno per 500 anni. La città versa in uno stato di abbandono e di distruzione che non risparmia neppure le chiese. Il primo duca longobardo di Benevento fu Zottone, al quale successe Arechi I, che ricostruì la Cinta Muraria portandola ad una lunghezza di tre chilometri. Vescovo di grande rilievo fu, nel 679, San Barbato, che riuscì a convertire al cattolicesimo i Longobardi. A lui è collegata la leggenda delle streghe e del famoso noce lungo le sponde del fiume Sabato, dove esse si riunivano per celebrare il rito del Sabba. Dopo la conversione dei Longobardi, sorsero numerose chiese.

Ad Arechi I successe il figlio Aione; seguirono Rodoaldo e poi Grimoaldo, Romualdo, Grimoaldo II, Gisulfo I, Romualdo II.

Il ducato di Benevento si estende fini a comprendere anche Cuma e Sora. Succede quindi Gisulfo II sostituito per qualche tempo da Gregorio e quindi da Godescalco. Alla morte di Gisulfo prende il potere la moglie Scauniperga, reggente del figlio Liutprando, che fu sostituito, ben presto, con Arechi II nel 757. Questi, assunto il titolo di Principe, fece coniare moneta con la sua effige dalla Zecca Beneventana.

Mentre la Longobardia maior con capitale Pavia cade nel 774, il ducato di Benevento, cosiddetta Longobardia minor per l’importanza che rivestì e la voglia di indipendenza da Pavia, acquisisce una forma più salda e si trasforma in principato. Ad Arechi II che fece costruire la Chiesa di Santa Sofia, successe la moglie Adelperga, reggente del figlio Grimualdo III, nel 787. Grimualdo IV morì in una congiura, ordita da Sicone, a cui va il merito di essere riuscito a sottrarre alla città di Napoli, durante un conflitto, le spoglie di San Gennaro Vescovo di Benevento.

Le reliquie, risparmiate dall’incendio del Duomo nel 1943, sono state ritrovate sul finire del 1983, in una cassetta custodita in un’urna marmorea, dallo storico Mons. Giovanni Giordano. Tale urna è collocata oggi nel Duomo.

Il figlio di Sicone, Sicardo, riuscì anni dopo a sottrarre ai Saraceni, nell’isola di Lipari, le reliquie di San Bartolomeo.

Dopo l’uccisione di Sicardo, il potere passo a Radelchi, al quale alcuni nobili opposero l’antiprincipe Siconolfo. Questo disaccordo aprì la strada ai Saraceni i quali giunsero a Roma e la saccheggiarono. Il principato di Benevento venne diviso in Ducato di Benevento e Ducato di Salerno.

Il primo andava da Brindisi ad Ascoli, sull’Adriatico, e nell’interno si estendeva fino a Sant’Agata dei Goti, Telese ed Alife. Salì al potere Adelchi, che si fa continuatore di una politica autonomistica e, approfittando del soggiorno a Benevento dell’Imperatore Lodovico, di ritorno vittorioso da una guerra a Bari contro i musulmani, lo fece prigioniero, imponendosi all’attenzione delle corti d’Europa. Radelchi II fu tiranno spietato ed impopolare, tanto che, nel 900, Atenolfo, principe di Capua, interpretando la volontà del popolo, occupò il Sacrum Palatium, caccia Radelchi II e si proclamò Principe di Capua e di Benevento.

A nulla servono le rivolte dei beneventani contro il nuovo dominatore fino alla morte di Pandolfo Capodiferro, nell’anno 981. Con Pandolfo II Benevento si separò definitivamente da Capua. L’ultimo principe longobardo di Benevento fu Landolfo VI.

Vinti i Longobardi dai Normanni, nel 1077, Benevento passò sotto la dominazione pontificia che durò, quasi ininterrottamente, fino all’Unità d’Italia. Appartengono al periodo longobardo la Cinta Muraria, Port’Arsa, la Chiesa di Santa Sofia con l’attiguo monastero e chiostro benedettino ed il Sacrum Palatium.

IL PERIODO PONTIFICIO

All’inizio la città era governata da due consoli scelti dalla popolazione che assunsero il nome di Rettori pontifici: Sculdascio e Dacomario. Successivamente, però, fu il Papa stesso ad eleggerli, scegliendoli fra candidati non beneventani. Ciò favorì lo scontento della popolazione. Accanto ai Rettori operava un Collegio di dodici giudici, scelti fra i nobili ed una Commissione di ottonari, che rappresentavano le otto contrade cittadine: Somma, Aurea, Rufina, San Lorenzo, Nova, Gloriosa, Foliarola, Biscarda.

Nel 1202 nacquero i primi Statuti, tra i più antichi d’Italia, che divennero operativi nel 1230, sotto Papa Gregorio IX. Rottosi l’equilibrio tra Federico I Barbarossa, imperatore del Regno di Sicilia, ed il Papa, Benevento fu cinta d’assedio e, vinta dalla fame e dalla miseria, cedette agli Svevi. Il pontefice s’impose di nuovo sul potere imperiale dopo la morte di Corrado IV figlio di Federico I, quando l’erede, il giovane Corradino, venne posto per testamento sotto la tutela pontificia. In questo breve periodo lo Stato Pontificio si estese dalla Toscana alla Sicilia.

Manfredi, infatti, figlio naturale di Federico I, mosse guerra al Papa Innocenzo IV e poi al Papa Alessandro IV in difesa dei Saraceni. I cittadini beneventani si divisero in due partiti: uno si schierò con il Papa, l’altro con l’imperatore, finché Benevento si sottomise a Manfredi nel 1256. Si preparò l’epilogo sanguinoso della rivalità tra il papato e Manfredi, quando Papa Clemente IV incoronò Carlo D’Angiò Re di Sicilia e gli allestì un esercito per marciare contro Manfredi.

Manfredi, che a Benevento aveva convocato alcuni feudatari per chiedere loro aiuto, il 26 febbraio 1266 si scontrò con le truppe nemiche in una località compresa tra la contrada San Vitale e la contrada Fasanella o forse anche alla contrada San Marco di Ponte Valentino e sulla pianura di Foglianise. Dapprima i Saraceni, condotti dal re Manfredi, ebbero la meglio su Carlo D’Angiò, ma, mentre quest’ultimo poté contare su truppe di riserva, nell’esercito di Manfredi serpeggiò il tradimento che determinò la sconfitta.

Il corpo di Manfredi “biondo... bello e di gentile aspetto” (Dante, Purgatorio canto III v.107) fu ritrovato dopo tre giorni dalla fine della battaglia sotto un cumulo di morti “in co’ del ponte presso a Benevento” (idem, v.128) ma non sappiamo tutt’oggi quale ponte sia tra Ponte Valentino, Ponte Fratto, Ponte Vanvitelli o Ponte delle Maurelle. Gli Angioini saccheggiarono la città, stuprarono e rapinarono nonostante le suppliche del clero e della Chiesa.

Al periodo pontificio appartengono La Rocca dei Rettori, il Duomo e Palazzo Paolo V.

IL PERIODO ANGIOINO

I periodo angioino fu il più infelice. Nel 1440 il Papa Eugenio IV concedette, su insistenza del popolo, il nuovo Statuto che prevedeva un Consiglio Cittadino formato da tre rappresentanti per ognuna delle classi in cui era divisa la società: nobili, mercanti, artigiani ed agricoltori. Essi rimanevano in carica sei mesi e le loro deliberazioni erano sottoposte al parere del Rettore, a cui spettava il potere esecutivo. Questa innovazione non servì a frenare le simpatie che il popolo beneventano nutriva per il re di Napoli Alfonso D’Aragona, il quale, nel 1442, s’impadronì della città e nella Rocca dei Rettori convocò il primo Parlamento del Regno.

Alla sua morte la città di Benevento ritornò al Papa e il primo Governatore Papale, nella persona di Pietro Arcangeli, si insediò nella Rocca al posto del Rettore pontificio. Il Papa Paolo III riordinò le regole fissate dallo statuto di Eugenio IV e le trascrisse in due volumi promulgati nel 1588 sotto il pontificato di Sisto V. In questi anni l’Architetto Giovanni Fontana progettò il Palazzo Paolo V, intitolato all’allora pontefice e terminato nel 1633. La peste del XVII secolo, descritta dal Manzoni nei Promessi Sposi, non risparmiò neppure Benevento; una prima volta nel 1630, ma più catastroficamente nel 1656. La popolazione fu decimata.

La chiesa favorì il contagio con le processioni propiziatorie. Il Cardinale Federico Borromeo inviò a Benevento una reliquia del cugino San Carlo custodita oggi nella Chiesa dell’Annunziata.

Nel 1686 venne eletto Arcivescovo Vincenzo Maria Orsini, che poi divenne Papa con il nome di Benedetto XIII. La città fu scossa nel 1688 da un violento terremoto, e l’Arcivescovo si prodigò nel soccorrere la popolazione, promuovendo la ricostruzione. Fondò il Monte dei Pegni Orsini, i Monti Frumentari, eresse il cimitero, restaurò le chiese, riordinò i beni ecclesiastici.

Il terremoto colpì ancora nel 1702 e distrusse la Basilica di San Bartolomeo, che sorgeva nei pressi del Duomo, e poi ancora nel 1732. Nel 1768 Benevento venne consegnata ai Borboni re di Napoli, ma nel 1774 il Papa Clemente XIV, con l’aiuto degli Spagnoli, riconquistò la città. La ventata delle nuove idee sorte in Francia con la Rivoluzione si avvertì anche a Benevento e quando le truppe francesi entrarono in Roma, ponendo fine al potere temporale dei Papi, anche Benevento, che faceva parte dello Stato Pontificio, cadde sotto la loro dominazione.

Il re di Napoli Ferdinando IV tentò di occupare la città di Benevento, ma le truppe francesi occuparono Napoli e lo costrinsero a riparare con tutta la corte in Sicilia. Nel 1799 Benevento fu ceduta ai Francesi e nel gennaio dell’anno successivo, sulla Rocca dei Rettori Pontifici, sventolò la bandiera francese. L’esercito che doveva essere di liberazione si rivelò di occupazione e di saccheggio dei beni sia della Cattedrale che del Monte dei Pegni. La città si ribellò e dietro spargimento di sangue ottenne che il 21 maggio 1799 la guarnigione francese lasciasse la città. Benevento, dopo varie vicende, tornò al Papa Pio VII nel 1802.

Fu poi la volta di Napoleone Bonaparte, che, dopo Austerlitz, nel 1805, rioccupò l’Europa e con il regno di Napoli anche Benevento. La città fu governata dal principe Carlo Maurizio Talleyrand finché questi venne cacciato da Gioacchino Murat, re di Napoli, con l’aiuto dell’Austria. Si instaurò così la dominazione austriaca nella persona del governatore Carlo Ungaro, che guidò il Ducato di Benevento. Con la Restaurazione che seguì al Congresso di Vienna del 1815, Benevento tornò al Papato e divenne Delegazione Apostolica.

La città non rimase insensibile ai primi moti rivoluzionari italiani, ma la setta di idee repubblicane detta dei Liberali Decisi venne annientata sul nascere. La città divenne sempre più insofferente verso la dominazione pontificia ed a nulla servì la visita di Pio IX sul finire del 1849. Quando Garibaldi, nel 1860, compì l’Unità d’Italia viene deposto il Delegato pontificio e, in nome di Garibaldi, Salvatore Rampone si impossessò della città che, con un plebiscito, sancì la volontà di aderire all’Italia unita ed indipendente, riconoscendo il Re Vittorio Emanuele II.

Il 25 ottobre 1860 nacque la Provincia di Benevento.

Arco di Traiano

E’ secondo alcuni il più bell’arco trionfale romano esistente in Italia e comunque il più ricco e ben conservato. E’ altro 15,60 metri, ha l’ossatura di marmo calcareo ed è rivestito in marmo. Fu eretto tra il 114 ed il 117 A.C. dall’imperatore Traiano, di cui porta il nome, per commemorare l’apertura della via Appia, che da Roma andava a Brindisi. E’ un arco ad un solo fornice alto 8,60 metri. Il lato verso la città, il lato sud, presenta rilievi che ricordano le benemerenze civili dell’imperatore. Il lato nord rappresenta momenti di vita militare e le imprese daciche e germaniche compiute nelle province. Le due scene sotto il fornice ricordano i rapporti di Traiano con il Sannio. L’arco di Traiano sorge al termine di via Traiano di fronte a piazza Roma. Constatato il degrado in cui versava l’area dell’arco, la giunta municipale, alcuni anni fa, ha varato il provvedimento di chiudere al traffico la via traiana. I lavori di restauro iniziati nel 1987 hanno restituito ai beneventani l’arco in tutto il suo splendore. Nel corso dei lavori di sistemazione della zona sottostante l’arco, sono venuti alla luce interessanti muri d’epoca romana ed il selciato della vecchia strada che dal fornice partiva per Brindisi. Su ciascuno dei piloni appaiono tre rilievi dei quali uno a lato dell’epigrafe commemorativa e due accanto al fornice. I rilievi sono separati da pannelli bassi con figure amazzoniche e vittorie tauroctone. I pannelli sul pilone destro lato sud, cominciando dall’alto, raffigurano Traiano al foro boario, il suo accoglimento da parte del senato del popolo romano e dell’ordo equester e l’adventus di Traiano. I pannelli sul pilone sinistro lato sud rappresentano, cominciando dall’alto, l’accoglimento da parte della triade capitolina, un nuovo adventus di Traiano e Traiano che procede al dilectus italico. Sul pilone destro della facciata lato nord, cominciando dall’alto, troviamo i rilievi che raffigurano la deduzione di colonie provinciali, la receptio in fidem di principi barbari, la concessione della civitas alle truppe ausiliarie di confine, mentre sul pilone sinistro, dello steso lato, accanto all’epigrafe c’è l’omaggio delle divinità agresti provinciali, la restitutio daciae ed il dilectus provinciale. Ornano l’architrave scene trionfali. Due i pannelli che adornano l’interno del fornice: Traiano fra i Littori che compie sacrifici in occasione dell’apertura della via traiana e nell’altro l’istituzione degli alimenta. Anche qui appaiono Littori, città italiche personificate ed uomini con bambini per mano e sulle spalle.

L’epigrafe commemorativa dice:

IMP.CAESARI.DIVI.NERVAE.FILIO.NERVAE.TRAIANO.OPTIMO.AUG.

GERMANICO.DACICO.PONTIF.MAX.TRIB.POTEST.IXVIII.IMP.VII.COS.VI.P.P

FORTISSIMO.PRINCIPI.SENATUS.P.Q.R

Che significa : All’imperatore Cesare Nerva Traiano, figlio del divino Nerva, ottimo Augusto, Germanico, Dacico, Pontefice Massimo il Senato ed il popolo romano nell’anno diciottesimo della tribunicia potestas e nel settimo dell’impero.

Fu nel medio evo la più importante porta della città detta perciò Port’Aurea. Il Papa Pio IX la isolò facendo abbattere le mura che da esso si dipartivano per collegarsi alla cinta muraria longobarda.

Il Teatro Romano

L’epigrafe posta alla base della scena ci informa che la costruzione del Teatro cominciò al tempo dell’imperatore Adriano (II secolo d.C.).

E’ questa una delle ragioni per cui non si tratta certamente del teatro nel quale, secondo la testimonianza di Tacito, cantò Nerone, in visita alla città nel 64 d.C..

L’imperatore inoltre assistette a spettacoli gladiatori, che non potevano realizzarsi in questo teatro.

L’ingresso del teatro Romano s’affaccia su Piazza Ponzio Telesino, a fianco alla chiesa dedicata a Santa Maria della Verità.

Terminato su finire del II secolo, il teatro Romano fu abbellito ed ingrandito da Caracalla all’inizio del III secolo.

Ha un diametro di circa 90 metri ed è sormontato da tre ordini di 25 arcate delle quali le due superiori sono andate quasi completamente distrutte, mentre sono in buono stato la Scena, che è stata restaurata, la Cavea semicircolare e gran parte del primo ordine di arcate. Poteva contenere fino a 20000 spettatori.

Si tratta di una costruzione dalle straordinarie caratteristiche strutturali che ne hanno reso possibile la conservazione nel corso dei secoli.

Due ambulacri paralleli, uno esterno l’altro interno, interrotti da corridoi e scalinate di accesso ai piani superiori, fungevano da cassa armonica.

Infatti la resa acustica eccellente del Teatro si basa su un sistema di amplificazione naturale.

Sul lato destro della scena ci sono marmi che fanno pensare all’esistenza di camerini per gli attori che entravano in scena attraverso ingressi laterali.

Il teatro conserva la completa agibilità ed ospita spettacoli classici e lirici, concerti e lavori teatrali.

La Rocca dei Rettori

La Rocca dei Rettori, affacciata su piazza IV Novembre, fu costruita, per iniziativa dell’energico Rettore Pontificio Guglielmo de Balaeto, a partire dal 1321 al posto di un fortilizio longobardo e comprese la Porta Somma che era una delle porte di accesso alla città.

Nell’androne della Rocca si possono infatti ammirare le sue vestigia. Forse, in epoca romana, esisteva sul colle una roccaforte, con terrazzamento artificiale. Tale ipotesi si fonda sul ritrovamento di un basamento di blocchi di pietra squadrata, nel 1913, durante lavori di restauro.

Le sculture sul muro perimetrale della Rocca fanno pensare, invece, alla esistenza di una tomba monumentale  sull’Appia che attraversava il colle.

Sono state rinvenute tombe a inumazione appartenenti presumibilmente all’VIII secolo a.C. e sepolture di epoca sannita.

La Rocca dei Rettori è formata dal Castrum Novum, la Rocca, alta 28 metri escluse le piccole torri, e dal Palatium Antiquum, il Palazzo dei Governatori Pontifici, che risale al XVIII secolo e sorse sul trecentesco monastero delle Benedettine di Santa Maria di Porta Somma.

I rappresentanti pontifici risiedevano, in un primo tempo, nel Sacrum Palatium di Piano di Corte, ma poi, a causa dei frequenti tumulti popolari, il Papa Giovanni XXII  volle per i suoi uomini una sede più sicura, che ne garantisse l’incolumità e consentisse di controllare dall’alto sia la città che la valle del Sabato.

Perciò scelse un luogo che da sempre era roccaforte. Una iscrizione in latino ne ricorda l’evento (5 luglio 1320 Papa Giovanni XXII).

Lo stesso Giovanni XXII ordinò la costruzione di quattro torri agli angoli della fortezza.

Ne vennero costruite solo due per problemi economici. Sono torri circolari; di esse quella di sud-ovest ha la base ottagonale alla maniera dei castelli svevi.

Dell’edificio trecentesco è rimasto solo il mastio a tre piani. Il palazzo dei Governatori è lungo 40 metri, largo 8 ed alto 24 dal livello stradale. Era circondato da fossati profondi sei metri, oggi ricoperti e vi si accedeva mediante ponti levatoi.

Un bellissimo giardino con reperti di epoca romana e longobarda, ritrovati nell’area adiacente, fa da corona al complesso monumentale.

Da esso si gode un bellissimo panorama sulla valle del fiume Sabato.

Per realizzare la struttura della Rocca venne usato materiale di risulta proveniente da edifici romani: stele funerarie, lapidi e fregi architettonici.

L’edificio presenta i segni evidenti di ricostruzioni operate in varie epoche.

Sotto la pavimentazione del cortile scoperto sono stati trovati una grossa cisterna

ed i resti di un acquedotto romano.

Nella torre ci sono i resti di prigioni, utilizzate in epoche diverse.

Dopo le lotte tra Aragonesi ed Angioini, la Rocca divenne feudo dei Borgia. Venne notevolmente danneggiata durante le insurrezioni popolari contro il papato, finché, nel 1586, fu adibita esclusivamente a carcere della città.

Fu allora che furono ricoperti i fossati non più necessari. La Rocca resistette ai violenti terremoti del 1688 e del 1702.

Tuttavia, nel 1703, Papa Clemente XI iniziò il restauro della Rocca aggiungendo un’ala alla parte prospiciente il giardino.

Quando il ducato di Benevento divenne provincia, fu demolita la Porta Somma e fu creata la rampa carrabile, il nuovo ingresso sul lato del giardino, l’androne principale e lo scalone di ingresso.

Numerosi restauri hanno interessato la Rocca in quest’ultimo secolo. Dal 1960 è sede della Sezione Storica del Museo del Sannio.

Il Duomo

La struttura attuale del Duomo di Benevento è stata realizzata su progetto dell’Architetto Paolo Rossi de Paoli dopo che la Cattedrale fu distrutta dai bombardamenti del 1943. Dell’antica struttura si salvarono la facciata d’epoca romanica del XIII secolo ed il campanile coevo, nonché la cripta che risale all’VIII secolo e presenta frammenti di affreschi trecenteschi.

Il primo nucleo della Chiesa Longobarda intitolata a Santa Maria divenne sede episcopale nel 973. Successivamente si venne ampliando acquisendo la struttura romanica completa verso il 1100 sotto l’Arcivescovo Ruggero e nel 1278 venne eretto il campanile.

La Chiesa Romanica era a tre navate come testimonia la zoccolatura del campanile che coincide con il limite esterno della prima navata laterale di sinistra. Le due navate esterne sono state aggiunte dopo il terremoto del 1456.

Completati e sviluppati in fasto e ricchezza verso la metà del 1600, il Duomo e l’Episcopio vennero distrutti dal terremoto del 1687, che lasciò pressoché intatti solo il campanile e la facciata.

L’Arcivescovo Vincenzo Maria Orsini rinnovò completamente la Cattedrale, conservando la facciata ed il campanile romanici e lo schema a cinque navate, ma decorando riccamente l’interno che di romanico non conservò più nulla. L’altare fu sistemato più avanti quasi sotto l’arco trionfale ed una scala centrale e due scale laterali portavano dalla navata centrale e dalle due prime navate minori al presbiterio.

La navata centrale era decorata riccamente a stucchi e le finestre erano molto alte per potersi affacciare sui tetti delle navate laterali. Anche il soffitto era cassettonato, intagliato e dorato.

I bombardamenti del 1943 hanno duramente colpito sia la Cattedrale che l’Episcopio, distruggendoli completamente e nulla si è conservato delle opere decorative del Tempio, eccetto poche colonne della navata di destra sistemate attualmente nella cappella del S.S. Sacramento.

L’ultima ricostruzione, per rispondere ad esigenze di culto, ha apportato varie modifiche quali lo spostamento dell’altare maggiore coperto da un solenne baldacchino, l’abolizione di altari secondari, l’innalzamento del soffitto delle navate laterali, l’allargamento della navata centrale e l’apertura di porte laterali.

La navata centrale, inoltre, è stata interrotta a circa tre quarti di essa in modo che da formare un transetto che allarga la visibilità sull’arco trionfale e da maggiore solennità al presbiterio. Ai lati dell’arco si aprono due archi minori.

In Cattedrale si accede attraverso un vestibolo alla cui destra c’è il Battistero ed alla sinistra la statua di San Bartolomeo, Patrono di Benevento, opera di Nicola da Monteforte del XIV secolo.

Sulla sinistra entrando è stato collocato un’urna cineraria marmorea che custodisce le Sacre Reliquie dell’antica Cattedrale salvate dai bombardamenti del 1943 e riportate all’interno del Duomo per volere del Vescovo Metropolita Carlo Minchiatti.

Sulla destra è collocato il Crocifisso ligneo del XVIII secolo detto “dei Liberati”, perché nel giorno del Venerdì Santo si liberava davanti ad esso un carcerato.

Si susseguono sulle pareti laterali vari mosaici raffiguranti scene sacre.

Il mosaico che adorna il grande arco trionfale è opera di Elena Schiavi e raffigura le storie della Vergine e la sua Assunzione e, in basso ai lati dell’arco, i Papi Pio IX e Pio XII. Ai lati del grande scalone che porta al Presbiterio si ergono gli amboni di marmo adornati con pannelli di bronzo di V.D. Colbertaldo, rappresentanti i dodici Apostoli.

Sul lato sinistro c’è l’ingresso alla cripta.

In corrispondenza del transetto si trova la cappella del S.S. Sacramento, a forma quadrangolare, costruita con quanto si è salvato del vecchio Duomo come le colonne di marmo bianco scanalato con capitelli dorici che sostengono la trabeazione adorna di bassorilievi raffiguranti la Pesca Miracolosa, La Moltiplicazione dei Pani, l’Ultima Cena, ed il miracolo di Bolsena opera di Valerio de Corsent.

Il pannello marmoreo dell’altare raffigurante la Natività risale al XVIII secolo.

Sulla destra della cappella è collocata la statua, in marmo bianco, di San Giuseppe Moscati medico beneventano.

L’antico Duomo aveva porte di Bronzo di inestimabile valore come solo diciotto Cattedrali in tutta Italia. Esse si componevano di 36 formelle per battente. Le prime 44 rappresentavano momenti salienti della vita di Gesù, altre 24 erano iconografie del Metropolita e dei Vescovi Suffraganei; 4 protomi (figure d’ornamento) raffiguranti teste di grifo e di leopardo cinte da un anello.

Le formelle erano tenute insieme da 80 cornici orizzontali e 90 verticali, 100 chiodi con testa bronzea a forma di rosetta e cardini, battenti e serramenti. Durante i bombardamenti del 1943 le porte di bronzo si sono fuse nell’incendio che ne conseguì. Le formelle, che in un primo tempo sembravano disperse, si vanno ritrovando ed una volta complete torneranno ad essere ricomposte e collocate internamente al Duomo.

La facciata del Duomo, risalente al XIII secolo, è ornata di marmi provenienti da tombe longobarde dei principi di Benevento e di altri insigni personaggi, un tempo collocate in uno spazio antistante al Duomo e chiamato “Paradiso”. Tra i marmi di vari tagli e sfumature spiccano l’epigrafe funeraria di Davide, Vescovo di Benevento del 796 e quella di Sicone, principe di Benevento dell’832. Quest’ultima è un epitaffio in versi, composti forse da un poeta di corte, in cui si celebrano le nobili origini del principe ed i principali avvenimenti della sua vita. L’epitaffio si presenta nella caratteristica scrittura beneventana epigrafica dei secoli IX e X.

La facciata presenta due ordini di archi dei quali i primi sono tutti ciechi, mentre i secondi sono illuminati da tre rosoni e sormontati da statue di leoni e di vitelli. Nel sesto arco cieco del secondo ordine, sul corpo di una statua romana decapitata, fu collocato l’unico ritratto di principe longobardo.

Nell’Episcopio ha sede l’abitazione del Vescovo Metropolita e della Curia Arcivescovile.

Il Tempio della Madonna delle Grazie

Il Tempio della Madonna delle Grazie fu costruito a partire dal 1839 su progetto  dell’ing. Vincenzo Coppola e terminato solo sul finire del 1800 in seguito alle vicende risorgimentali.

Fu consacrato il 16 Giugno 1901 dal Cardinale Donato Maria Dell’Olio Arcivescovo di Benevento.

Il tempio nasce come ringraziamento dei cittadini beneventani alla Madonna delle Grazie per la protezione avuta in occasione del colera del 1836 che mieté migliaia di vittime in tutta Italia. Il voto del popolo beneventano venne solennemente pronunciato il 1 Novembre 1836 nel Duomo durante una messa celebrata dal Cardinale Bussi Arcivescovo di Benevento.

In occasione del secondo centenario dell’incoronazione della Madonna, 1723-1923, sul frontone del pronao fu apposta la scritta GRATIARUM MATRI CIVIUM VOTO DICATUM, ovvero: Dedicato per voto dei cittadini alla Madonna delle Grazie.

L’edificio, a croce greca, è preceduto da un pronao con sei colonne alla cui sommità si ergono le statue dei Santi Protettori della Città: Sant’Antonio, San Barbato, san Francesco, San Bartolomeo, San Gennaro e San Rocco. Più in alto c’è una statua della Madonna con Bambino.

Sull’ingresso il saluto dell’Angelo Gabriele a Maria, ai lati del portone di legno appaiono, a sinistra, la statua di Papa Benedetto XIII ed, a destra, quella di Leone XIII.

La Basilica prende luce da una grande cupola centrale e da vetrate laterali colorate. E’ un tempio maestoso, con sei altari laterali oltre quello maggiore. Sull’altare maggiore è collocata la bellissima statua lignea della Madonna delle Grazie, opera di Giovanni da Nola, che risale al XVI secolo, già custodita nell’antica Chiesa di San Lorenzo. La statua raffigura la Madonna con Gesù Bambino che con la mano destra benedice, mentre con la sinistra regge la mela del peccato originale cercando di sottrarla alla vista della Madre.

Accanto all’altare di San Francesco è posta la lampada votiva alimentata dall’olio donato dai comuni appartenenti alla provincia monastica francescana sannito-irpina. Le stazioni della via Crucis e la statua in bronzo di Giovanni Paolo II, posta fuori la chiesa, sono opera di Padre Andrea Martini.

Il ponte Leproso

Il ponte Leproso risale al I secolo avanti Cristo. Fu realizzato sul fiume Sabato dai Sanniti e poi restaurato da Appio Claudio e dagli imperatori Lucio Settimio Severo e Marco Aurelio Antonino nel 203 d.C..

Era importante via di ingresso in città attraverso la Via Appia che partiva da Roma e che da Benevento proseguiva per Brindisi, porta d’accesso all’Oriente.

E’ costituito da quattro arcate, un tempo cinque, realizzate da Giovan Battista Nauclerio che riparò i danni subiti nel terremoto del 1702.

Ha una solida struttura tipicamente romana a schiena d’asino e conserva diversi elementi originari.

Aveva anticamente un altro nome, “Marmoreo”, perché quello attuale gli deriva dalla presenza, nell’alto medioevo, di un lebbrosario nelle vicinanze.

Era chiamato nell’800 anche ponte di San Cosimo, da una piccola chiesa, situata nelle vicinanze e dedicata al santo.

Totila, nel VI secolo, infierì, durante lo sterminio di Benevento, anche su questo ponte. I terremoti e le alluvioni che si sono susseguiti nella città lo hanno danneggiato più volte.

Per questo ponte transitarono Cicerone, Orazio, Giulio Cesare, Vespasiano, Augusto ed anche dottori della Chiesa e Sommi Pontefici.

Lo storico D.M.Zigarelli afferma che fu questo il ponte, e non il Ponte Vanvitelli sul Calore, presso il quale Manfredi di Svevia fu vinto da Carlo I d’Angiò e tumulato dalla pietà dei vincitori.

Port’Arsa

Su via Torre della Catena, tra le mura longobarde, s’apre Port’Arsa, splendida porta d’accesso all’area del Teatro Romano.

E’ detta così perché fu ricostruita dopo un incendio che la distrusse in parte o anche, secondo altri storici, dalla vicina Calcara, divoratrice di frammenti di monumenti.

E’ stata costruita con pietre provenienti da monumenti romani. Posta tra le mura longobarde, era, in epoca longobarda, una delle sette porte di accesso alla città.

A pochi metri da Port’Arsa, tra la strada ed il fiume Sabato, si erge la Torre della Catena, a pianta quadrata.

E’ ciò che resta di un fortilizio longobardo, un tempo staccato dalla cinta muraria per mezzo di un fossato.

Dalla Torre della Catena, secondo alcune ricerche recenti, si dipartiva un criptoportico romano, detto dei Santi Quaranta, vale a dire la muraglia di un grandissimo emporio romano, diviso in celle.

Da esso prende nome la contrada Cellarulo, zona archeologica, oggetto tutt’oggi di scavi, sede dell’antico porto fluviale di Benevento. L’area visitabile si estende fino alle spalle della Basilica della Madonna delle Grazie.

La chiesa di Santa Sofia

Sulla piazza dedicata a Giacomo Matteotti si affaccia la Chiesa di Santa Sofia, costruita nel 762 dal Principe longobardo di Benevento Arechi II e dedicata alla “Santa Sapienza” così come il Tempio di Santa Sofia in Costantinopoli. Fu il tempio ufficiale dello Stato, frequentato da Pontefici e Imperatori.

E’ stata restaurata in varie epoche, ma ha conservato la pianta originale, per metà circolare con tre absidi e per metà stellare.

L’esagono centrale è delimitato negli angoli da sei colonne, sormontate da capitelli compositi romani e collegate tra loro da archi in mattoni con tre absidi.

L’esagono è inscritto in un decagono delimitato da otto pilastri e due colonne poste all’ingresso.

Colonne e pilastri sono collegati sia al perimetro murario che all’esagono centrale da archi.

All’interno della Chiesa si possono ammirare i resti degli affreschi dell’VIII secolo. Nell’abside sinistra, è la Storia di San Giovanni Battista.

Quindi l’angelo che annuncia a San Zaccaria la futura nascita del figlio e il santo che resta muto perché incredulo.

Nell’abside destra, invece, si può intravedere l’Annunciazione alla Vergine e la visita a Sant’Elisabetta.

Costruita a fasce di tufo squadrato e listelli di mattoncini romani, la chiesa presenta una facciata spoglia ed essenziale.

Nella lunetta sovrastante il portale si possono ammirare la Vergine, Cristo in Trono, San Mercurio e l’Abate Giovanni IV che spiccano sullo sfondo a mosaico dorato.

Attiguo alla Chiesa è il Chiostro, antico monastero di suore benedettine, fatto costruire anch’esso da Arechi II e di cui fu prima Badessa sua sorella Gariperga.

Ha pianta quadrata ed è circondato da una struttura ad archi delimitata da sedici pilastri tra i quali si aprono quindici quadrifore ed una trifora sormontate da archi poggianti su mensole. Le colonnine sono di granito, alabastro e calcare, con pregiati capitelli e pulvini romanici e poggiano su un basamento alto cinquanta centimetri. 

Sono quarantasette, tutte diverse tra loro, numerate in senso antiorario a partire da quella raffigurante San Benedetto in Trono sul lato sud.

Nei locali adiacenti al Chiostro ha sede il Museo del Sannio dove sono custoditi reperti archeologici delle varie epoche storiche vissute dalla città e rinvenuti localmente, nonché una pinacoteca e la biblioteca provinciale.

Sulla piazza, un tempo intitolata a Carlo Maurizio Talleyrand, ministro degli esteri di Napoleone, sorge l’obelisco innalzato nel 1809 in suo onore dopo che ebbe in feudo, con il titolo di Principe, il territorio di Benevento e lo curò da lontano mediante un governatore.

Sul lato della piazza si erge il campanile che un tempo era sul muro di cinta della chiesa.

La chiesa di San Bartolomeo

La chiesa di San Bartolomeo fu costruita, nel luogo dove si trova attualmente e dove un tempo esisteva la Chiesa parrocchiale di San Martino, dopo i terremoti del 1688 e del 1702 per sostituire la vecchia Basilica che si ergeva nei pressi del Duomo dove oggi è posta la Fontana a Papa Orsini.

Fu costruita tra il 1726 ed il 1729 e consacrata dal Papa Benedetto XIII. E’ opera di Filippo Raguzzini, il quale utilizzò un primitivo progetto di Fra Tommaso di San Giovanni, priore di San Diodato, ma apportò sostanziali modifiche, come la trasformazione delle tre navate originarie in un’unica navata con cappelle laterali.

La chiesa presenta decorazioni a stucchi ed un’importante “Cathedra Lignea”.

La chiesa di San Francesco

Nel cuore della Benevento medievale s’erge il complesso monumentale dei Frati Minori Conventuali costituito dalla Chiesa di San Francesco del XIII secolo. e dall’annesso convento. La chiesa deriva il nome dal Santo d’Assisi, il quale vi soggiornò nel 1222 durante il suo pellegrinaggio al Gargano.

Già nel 1260 i Conventuali di Benevento avevano giurisdizione su vari conventi del Sannio, dell’Irpinia e di Terra di Lavoro. Il convento fu sede di noviziato fino all’invasione napoleonica, che trasformò il complesso in uffici e depositi militari. Il 5 Aprile 1959 i Conventuali ritornarono in possesso della struttura e si adoperarono pazientemente a ripristinare il volto originario del Convento. Il 21 Dicembre 1968 la chiesa è stata riaperta al culto.

Essa si presenta ad una sola navata nuda e lineare nello stile, con abside gotica, che reca tracce pittoriche di scuola napoletana, testimoni di un fecondo periodo culturale beneventano.

Probabilmente, un tempo, gli affreschi ricoprivano interamente le pareti.

La parete di fondo è abbellita, da qualche anno, da una stupenda vetrata raffigurante momenti di vita del Santo.

A destra della vetrata si può ammirare un affresco quattrocentesco che rappresenta, nella parte superiore la S.S. Trinità tra la Madonna e l’Evangelista Giovanni, e, nella parte inferiore, un trittico che riproduce San Bartolomeo, San Giovanni Battista e San Francesco.

Sulla parete di destra ci sono frammenti di affresco di pittura napoletana di tipo giottesco-masiano, risalenti circa al 1360 che riproducono

la Madonna dell’Umiltà su sfondo azzurro, ed a fianco, sotto un’arcata, una Resurrezione, anch’essa deteriorata.

Sulla parete di sinistra appare un frammento di affresco che ritrae il nobile Pietro Stampalupo in preghiera davanti a Cristo.

Insieme al fratello Landolfo, il 31 Gennaio 1243 Pietro Stampalupo donò ai Frati Conventuali la Chiesa di San Costanzo ed altri beni.

In alto, sulle pareti della navata si aprono belle e luminose vetrate raffiguranti, tra gli altri, San Bonaventura, il Beato Dunz Scoto e Sant’Antonio.

Nel pronao che si apre sulla piazza con tre archi a tutto sesto su colonne, ci sono tracce di dipinti di una Madonna in Trono e di un Pellegrino.

Due sono i chiostri, oggi completamente riportati alla luce, che si aprono all’interno dell’edificio conventuale.

Il più grande, a pianta quadrata, è formato da volte sorrette da archi e da colonnine romane.

Nel centro di aiuole ben curate s’erge la statua del Santo.

L’altro, a pianta rettangolare, di minori proporzioni, presenta archi e grossi pilastri in muratura, senza decorazioni.

In un’edicola del primo chiostro si può ammirare un affresco frammentario raffigurante un Santo Vescovo bizantino.

La chiesa di San Domenico

Restaurata di recente, la chiesa di San Domenico risale al XVIII secolo e sorge tra il palazzo Ferragnoli e l’ex convento di San Domenico di cui un tempo era parte integrante.

A destra dell’ingresso principale, in una nicchia vuota comparve, qualche tempo fa, il volto di Padre Pio, che ha riacceso la fede del popolo beneventano nel Santo di Pietrelcina.

La chiesa si presenta a croce latina. L’altare principale risale al 1727 ed è ornato di marmi policromi. Sull’altare il Crocifisso. Alle spalle dell’altare un coro ligneo ed un dipinto di Francesco de Angelis. A destra dell’altare si possono ammirare frammenti di un affresco della Madonna del Rosario o forse di Montevergine ed una preziosa pala in legno del XVII secolo, raffigurante la Madonna del Rosario. Bellissimo l’organo sullo stesso lato. A sinistra, sull’altare laterale c’è un dipinto di Nicola Boraglia del 1695 ed ai lati monumenti funebri del generale napoleonico Conte Carlo Antonio Manhès e di altri suoi familiari. Ai lati della navata principale ci sono altari laterali fra i quali quello del Crocifisso e quello di San Domenico. Preziose le volte a cupola . Un’urna di vetro, su un altare laterale, conserva le ossa di una Santa non identificata, trovate tra le macerie della Chiesa di Santa Teresa come pure un confessionale ligneo restaurato. Il portale d’ingresso è preceduto da un pronao di archi e colonne.

L’Hortus Conclusus

L’Hortus Conclusus, giardino chiuso, ossia ambiente raffinato, é stato inaugurato il 26 Giugno 1992 ed è ubicato nella Corte di San Domenico.

Vi si accede sia dai saloni a piano terra del convento sia dal suggestivo Vico Noce.

E’ una mostra permanente di alcune opere del celebre maestro Mimmo Palladino, tra cui il Cavallo dalla Maschera d’Oro che domina, dal punto in cui è posizionato, uno spazio aperto.

Le opere scultoree sono distribuite in un’oasi di verde, nel cuore della città medievale, percorribile in una piacevole passeggiata.

Il Ponte Vanvitelli

Il Ponte Vanvitelli sul Calore è opera del grande architetto Luigi Vanvitelli, autore della Reggia di Caserta.

L’opera risale al 1767 sotto il pontificato di Pio VI e presentava sei luci ma nel 1960 il ponte è stato rifatto a tre arcate per consentire il passaggio più rapido delle acque.

Oggi collega Via Posillipo con Piazza Bissolati ed il Viale Principe di Napoli, alla cui estremità si trova la Stazione ferroviaria “Benevento Centrale”. Nei pressi del ponte si trova il Monumento a Manfredi di Svevia.

Un tempo, all’inizio del ponte, c’era la Porta Pia, ex porta Calore e Porta Gloriosa, una delle sette porte della Benevento longobarda, ricostruita sotto il pontificato di Pio VII da cui prese nome.

La Villa

Fu realizzata nel 1879 su progetto di Alfredo Dehnardt ed è una delle più belle ville d’Italia.

Vi si intrecciano viali ed aiuole ben curate con alberi secolari, laghetti con pesci, cigni ed anatre, fontane a zampilli, busti di illustri sanniti tra i quali quello del clinico Gaetano Rummo opera di Filippo Cifariello, panchine e parco giochi. Al centro si erge la cassa armonica, nella quale si tengono concerti estivi. L’ingresso principale si apre su piazza IV Novembre, dove sorge il Monumento ai Caduti, nei pressi della Rocca dei Rettori.

Il "Bue" Apis

All’inizio del Viale San Lorenzo, sul lato destro, sorge il monumento al Toro Apis del I secolo d.C..

Esso proviene dal Tempio di Iside di Benevento, fatto costruire da Domiziano nell’anno 88 d.C. e fu posto sul piedistallo, dove si può ammirare tutt’oggi, nel 1629. In esso è incisa una falsa epigrafe, che vuole la bufala simbolo delle vittorie sannite. Anche il termine bue è improprio, perché nel monumento si cela il dio egizio Apis che aveva l’aspetto di Toro.