LE ORIGINI
La leggenda vuole che la città sia stata fondata dall’eroe greco
Diomede, il quale le regalò le zanne del cinghiale Caledonio, oggi simbolo di
Benevento, che figura sullo stemma della città ed è incastonato sul lato est
del Campanile del Duomo.
L’etimologia del nome Benevento ha consentito ai filologi di
sbizzarrirsi e infatti le interpretazioni sono molteplici. Malòeis si ricollega
a Malon o Melon che significa “gregge di pecore o capre” ed, essendo una forma
aggettivale greca, il suo significato è “altura piena di mandrie di pecore e
capre”.
Ma l’appellativo può essere riferito anche ad Apollo Malòeis,
protettore del gregge o al toro, animale sacrificato spesso nelle feste di
ringraziamento campestri. Mallos è anche il vello della pecora.
I romani
lessero Maloenton, che è genitivo di Malòeis, come “Malum eventum” e perciò lo
cambiarono in “Bonum eventum” dopo la vittoria su Pirro nel 275 a.C.. Insomma
Benevento era, nella sua felice posizione geografica tra due fiumi, “terra di
pascoli irrigui e di greggi copiosi”.
L’antica
regione del Sannio era compresa nella conca appenninica tra il massiccio del
Matese a nord, il Taburno ed il fiume Volturno ad ovest, i monti del Partenio e
del Terminio a sud ed i monti Dauni con il Fortore ad est. I primi abitanti
furono i Sanniti che, nel IV secolo a.C., si suddivisero in Irpini, che
abitavano le valli dei fiumi Sabato, Calore ed Ofanto, Pentri, che abitavano il
massiccio del Matese e Caudini che occupavano la florida città di Caudium. La
posizione geografica di Benevento, alla confluenza dei fiumi Sabato e Calore,
era invidiabile ed importante dal punto di vista strategico. Gente aspra e
bellicosa, decisa a primeggiare nel mezzogiorno, gli abitanti erano in contatto
con gli altri popoli circostanti e la velleità di espansione ed il desiderio di
dominio li fecero entrare in conflitto con i Romani.
IL PERIODO ROMANO
Le guerre cosiddette sannitiche, che si combatterono tra Roma ed i
Sanniti dal 349 al 290 a.C., sconvolsero, con le loro alterne vicende, la vita
pacifica degli “abitanti della montagna”. La battaglia più famosa avvenne alle
Forche Caudine, in prossimità dell’attuale Arpaia. I Romani vinti nel 321 dai
Sanniti, guidati dal generale Caio Ponzio Telesino, furono costretti a passare
sotto il giogo, formato da due lance conficcate verticalmente nel terreno e da
una posta orizzontalmente su di esse.
Ma non si diedero per vinti, si riarmarono e nel 295 a.C.
inflissero una solenne e definitiva sconfitta ai Sanniti. Benevento acquistò
così una conformazione ed una pianta edilizia tipicamente romane.
Instaurò buoni rapporti con Roma tanto che, sotto Augusto,
acquistò il titolo di “Colonia Iulia Concordia Augusta Felix Beneventum”. La
fama, di cui Beneventum godeva a Roma, anche perché importante nodo stradale, fece
sì che gli stessi imperatori si fermassero durante i loro spostamenti ed i loro
viaggi.
Tacito ci dice che Nerone si fermò per qualche giorno, nel 64
d.C., per assistere ad uno spettacolo gladiatorio, offerto da Vatinio,
ciabattino beneventano dal capo deforme, che si era arricchito ed aveva fatto
carriera politica. Si narra che l’imperatore si esibì nell’Anfiteatro Romano i
cui resti sono recentemente venuti alla luce nei pressi di Port’Arsa e del
Ponte Leproso.
Appartengono a questo periodo il Teatro Romano, L’Arco Traiano,
L’Arco del Sacramento, il Bue Apis, l’Obelisco Egizio ed il Ponte Leproso.
Dopo il crollo dell’Impero Romano d’Occidente, Benevento diventa
dominio dei Goti, vivendo un periodo oscuro, a causa delle nefaste conseguenze
della guerra greco-gotica (535-553). Nel 536 la conquista Belisario, generale
bizantino, ma nel 543 Totila, Re degli Ostrogoti, la riconquista, infierendo
sulla Cinta Muraria e distruggendo gran parte degli antichi monumenti. Infine
la sottomette Narsete, generale bizantino, annettendola al dominio bizantino.
La durezza, la caparbietà e la sete di dominio, che ha sempre caratterizzato i
Sanniti, porta Benevento ad avere un ruolo di guida durante il dominio
longobardo.
Infatti, nel 570, giungono in città i Longobardi e vi rimarranno
per 500 anni. La città versa in uno stato di abbandono e di distruzione che non
risparmia neppure le chiese. Il primo duca longobardo di Benevento fu Zottone,
al quale successe Arechi I, che ricostruì la Cinta Muraria portandola ad una
lunghezza di tre chilometri. Vescovo di grande rilievo fu, nel 679, San
Barbato, che riuscì a convertire al cattolicesimo i Longobardi. A lui è
collegata la leggenda delle streghe e del famoso noce lungo le sponde del fiume
Sabato, dove esse si riunivano per celebrare il rito del Sabba. Dopo la
conversione dei Longobardi, sorsero numerose chiese.
Ad Arechi I successe il figlio Aione; seguirono Rodoaldo e poi
Grimoaldo, Romualdo, Grimoaldo II, Gisulfo I, Romualdo II.
Il ducato di Benevento si estende fini a comprendere anche Cuma e
Sora. Succede quindi Gisulfo II sostituito per qualche tempo da Gregorio e
quindi da Godescalco. Alla morte di Gisulfo prende il potere la moglie
Scauniperga, reggente del figlio Liutprando, che fu sostituito, ben presto, con
Arechi II nel 757. Questi, assunto il titolo di Principe, fece coniare moneta
con la sua effige dalla Zecca Beneventana.
Mentre la Longobardia maior con capitale Pavia cade nel 774, il
ducato di Benevento, cosiddetta Longobardia minor per l’importanza che rivestì
e la voglia di indipendenza da Pavia, acquisisce una forma più salda e si
trasforma in principato. Ad Arechi II che fece costruire la Chiesa di Santa
Sofia, successe la moglie Adelperga, reggente del figlio Grimualdo III, nel
787. Grimualdo IV morì in una congiura, ordita da Sicone, a cui va il merito di
essere riuscito a sottrarre alla città di Napoli, durante un conflitto, le
spoglie di San Gennaro Vescovo di Benevento.
Le reliquie, risparmiate dall’incendio del Duomo nel 1943, sono state
ritrovate sul finire del 1983, in una cassetta custodita in un’urna marmorea,
dallo storico Mons. Giovanni Giordano. Tale urna è collocata oggi nel Duomo.
Il figlio di Sicone, Sicardo, riuscì anni dopo a sottrarre ai
Saraceni, nell’isola di Lipari, le reliquie di San Bartolomeo.
Dopo l’uccisione di Sicardo, il potere passo a Radelchi, al quale
alcuni nobili opposero l’antiprincipe Siconolfo. Questo disaccordo aprì la
strada ai Saraceni i quali giunsero a Roma e la saccheggiarono. Il principato
di Benevento venne diviso in Ducato di Benevento e Ducato di Salerno.
Il primo andava da Brindisi ad Ascoli, sull’Adriatico, e
nell’interno si estendeva fino a Sant’Agata dei Goti, Telese ed Alife. Salì al
potere Adelchi, che si fa continuatore di una politica autonomistica e,
approfittando del soggiorno a Benevento dell’Imperatore Lodovico, di ritorno
vittorioso da una guerra a Bari contro i musulmani, lo fece prigioniero,
imponendosi all’attenzione delle corti d’Europa. Radelchi II fu tiranno
spietato ed impopolare, tanto che, nel 900, Atenolfo, principe di Capua,
interpretando la volontà del popolo, occupò il Sacrum Palatium, caccia Radelchi
II e si proclamò Principe di Capua e di Benevento.
A nulla servono le rivolte dei beneventani contro il nuovo
dominatore fino alla morte di Pandolfo Capodiferro, nell’anno 981. Con Pandolfo
II Benevento si separò definitivamente da Capua. L’ultimo principe longobardo
di Benevento fu Landolfo VI.
Vinti i Longobardi dai Normanni, nel 1077, Benevento passò sotto
la dominazione pontificia che durò, quasi ininterrottamente, fino all’Unità
d’Italia. Appartengono al periodo longobardo la Cinta Muraria, Port’Arsa, la
Chiesa di Santa Sofia con l’attiguo monastero e chiostro benedettino ed il
Sacrum Palatium.
IL PERIODO PONTIFICIO
All’inizio
la città era governata da due consoli scelti dalla popolazione che assunsero il
nome di Rettori pontifici: Sculdascio e Dacomario. Successivamente, però, fu il
Papa stesso ad eleggerli, scegliendoli fra candidati non beneventani. Ciò
favorì lo scontento della popolazione. Accanto ai Rettori operava un Collegio
di dodici giudici, scelti fra i nobili ed una Commissione di ottonari, che
rappresentavano le otto contrade cittadine: Somma, Aurea, Rufina, San Lorenzo,
Nova, Gloriosa, Foliarola, Biscarda.
Nel 1202 nacquero i primi Statuti, tra i più antichi d’Italia, che
divennero operativi nel 1230, sotto Papa Gregorio IX. Rottosi l’equilibrio tra
Federico I Barbarossa, imperatore del Regno di Sicilia, ed il Papa, Benevento
fu cinta d’assedio e, vinta dalla fame e dalla miseria, cedette agli Svevi. Il
pontefice s’impose di nuovo sul potere imperiale dopo la morte di Corrado IV
figlio di Federico I, quando l’erede, il giovane Corradino, venne posto per
testamento sotto la tutela pontificia. In questo breve periodo lo Stato
Pontificio si estese dalla Toscana alla Sicilia.
Manfredi, infatti, figlio naturale di Federico I, mosse guerra al
Papa Innocenzo IV e poi al Papa Alessandro IV in difesa dei Saraceni. I
cittadini beneventani si divisero in due partiti: uno si schierò con il Papa,
l’altro con l’imperatore, finché Benevento si sottomise a Manfredi nel 1256. Si
preparò l’epilogo sanguinoso della rivalità tra il papato e Manfredi, quando
Papa Clemente IV incoronò Carlo D’Angiò Re di Sicilia e gli allestì un esercito
per marciare contro Manfredi.
Manfredi, che a Benevento aveva convocato alcuni feudatari per
chiedere loro aiuto, il 26 febbraio 1266 si scontrò con le truppe nemiche in
una località compresa tra la contrada San Vitale e la contrada Fasanella o
forse anche alla contrada San Marco di Ponte Valentino e sulla pianura di
Foglianise. Dapprima i Saraceni, condotti dal re Manfredi, ebbero la meglio su
Carlo D’Angiò, ma, mentre quest’ultimo poté contare su truppe di riserva,
nell’esercito di Manfredi serpeggiò il tradimento che determinò la sconfitta.
Il corpo di Manfredi “biondo... bello e di gentile aspetto”
(Dante, Purgatorio canto III v.107) fu ritrovato dopo tre giorni dalla fine
della battaglia sotto un cumulo di morti “in co’ del ponte presso a Benevento”
(idem, v.128) ma non sappiamo tutt’oggi quale ponte sia tra Ponte Valentino,
Ponte Fratto, Ponte Vanvitelli o Ponte delle Maurelle. Gli Angioini
saccheggiarono la città, stuprarono e rapinarono nonostante le suppliche del
clero e della Chiesa.
Al periodo pontificio appartengono La Rocca dei Rettori, il Duomo
e Palazzo Paolo V.
IL PERIODO ANGIOINO
I periodo angioino fu il più infelice. Nel 1440 il Papa Eugenio IV
concedette, su insistenza del popolo, il nuovo Statuto che prevedeva un
Consiglio Cittadino formato da tre rappresentanti per ognuna delle classi in
cui era divisa la società: nobili, mercanti, artigiani ed agricoltori. Essi
rimanevano in carica sei mesi e le loro deliberazioni erano sottoposte al
parere del Rettore, a cui spettava il potere esecutivo. Questa innovazione non
servì a frenare le simpatie che il popolo beneventano nutriva per il re di
Napoli Alfonso D’Aragona, il quale, nel 1442, s’impadronì della città e nella
Rocca dei Rettori convocò il primo Parlamento del Regno.
Alla sua
morte la città di Benevento ritornò al Papa e il primo Governatore Papale,
nella persona di Pietro Arcangeli, si insediò nella Rocca al posto del Rettore
pontificio. Il Papa Paolo III riordinò le regole fissate dallo statuto di
Eugenio IV e le trascrisse in due volumi promulgati nel 1588 sotto il
pontificato di Sisto V. In questi anni l’Architetto Giovanni Fontana progettò
il Palazzo Paolo V, intitolato all’allora pontefice e terminato nel 1633. La
peste del XVII secolo, descritta dal Manzoni nei Promessi Sposi, non risparmiò
neppure Benevento; una prima volta nel 1630, ma più catastroficamente nel 1656.
La popolazione fu decimata.
La chiesa favorì il contagio con le processioni propiziatorie. Il
Cardinale Federico Borromeo inviò a Benevento una reliquia del cugino San Carlo
custodita oggi nella Chiesa dell’Annunziata.
Nel 1686 venne eletto Arcivescovo Vincenzo Maria Orsini, che poi
divenne Papa con il nome di Benedetto XIII. La città fu scossa nel 1688 da un
violento terremoto, e l’Arcivescovo si prodigò nel soccorrere la popolazione,
promuovendo la ricostruzione. Fondò il Monte dei Pegni Orsini, i Monti
Frumentari, eresse il cimitero, restaurò le chiese, riordinò i beni
ecclesiastici.
Il terremoto colpì ancora nel 1702 e distrusse la Basilica di San
Bartolomeo, che sorgeva nei pressi del Duomo, e poi ancora nel 1732. Nel 1768
Benevento venne consegnata ai Borboni re di Napoli, ma nel 1774 il Papa
Clemente XIV, con l’aiuto degli Spagnoli, riconquistò la città. La ventata
delle nuove idee sorte in Francia con la Rivoluzione si avvertì anche a
Benevento e quando le truppe francesi entrarono in Roma, ponendo fine al potere
temporale dei Papi, anche Benevento, che faceva parte dello Stato Pontificio,
cadde sotto la loro dominazione.
Il re di Napoli Ferdinando IV tentò di occupare la città di
Benevento, ma le truppe francesi occuparono Napoli e lo costrinsero a riparare
con tutta la corte in Sicilia. Nel 1799 Benevento fu ceduta ai Francesi e nel gennaio
dell’anno successivo, sulla Rocca dei Rettori Pontifici, sventolò la bandiera
francese. L’esercito che doveva essere di liberazione si rivelò di occupazione
e di saccheggio dei beni sia della Cattedrale che del Monte dei Pegni. La città
si ribellò e dietro spargimento di sangue ottenne che il 21 maggio 1799 la
guarnigione francese lasciasse la città. Benevento, dopo varie vicende, tornò
al Papa Pio VII nel 1802.
Fu poi la volta di Napoleone Bonaparte, che, dopo Austerlitz, nel
1805, rioccupò l’Europa e con il regno di Napoli anche Benevento. La città fu
governata dal principe Carlo Maurizio Talleyrand finché questi venne cacciato
da Gioacchino Murat, re di Napoli, con l’aiuto dell’Austria. Si instaurò così
la dominazione austriaca nella persona del governatore Carlo Ungaro, che guidò
il Ducato di Benevento. Con la Restaurazione che seguì al Congresso di Vienna
del 1815, Benevento tornò al Papato e divenne Delegazione Apostolica.
La città non rimase insensibile ai primi moti rivoluzionari
italiani, ma la setta di idee repubblicane detta dei Liberali Decisi venne
annientata sul nascere. La città divenne sempre più insofferente verso la
dominazione pontificia ed a nulla servì la visita di Pio IX sul finire del
1849. Quando Garibaldi, nel 1860, compì l’Unità d’Italia viene deposto il
Delegato pontificio e, in nome di Garibaldi, Salvatore Rampone si impossessò
della città che, con un plebiscito, sancì la volontà di aderire all’Italia
unita ed indipendente, riconoscendo il Re Vittorio Emanuele II.
Il 25 ottobre 1860 nacque la Provincia di Benevento.
Arco di Traiano
E’
secondo alcuni il più bell’arco trionfale romano esistente in Italia e comunque
il più ricco e ben conservato. E’ altro 15,60 metri, ha l’ossatura di marmo
calcareo ed è rivestito in marmo. Fu eretto tra il 114 ed il 117 A.C.
dall’imperatore Traiano, di cui porta il nome, per commemorare l’apertura della
via Appia, che da Roma andava a Brindisi. E’ un arco ad un solo fornice alto
8,60 metri. Il lato verso la città, il lato sud, presenta rilievi che ricordano
le benemerenze civili dell’imperatore. Il lato nord rappresenta momenti di vita
militare e le imprese daciche e germaniche compiute nelle province. Le due
scene sotto il fornice ricordano i rapporti di Traiano con il Sannio. L’arco di
Traiano sorge al termine di via Traiano di fronte a piazza Roma. Constatato il
degrado in cui versava l’area dell’arco, la giunta municipale, alcuni anni fa,
ha varato il provvedimento di chiudere al traffico la via traiana. I lavori di
restauro iniziati nel 1987 hanno restituito ai beneventani l’arco in tutto il
suo splendore. Nel corso dei lavori di sistemazione della zona sottostante
l’arco, sono venuti alla luce interessanti muri d’epoca romana ed il selciato
della vecchia strada che dal fornice partiva per Brindisi. Su ciascuno dei
piloni appaiono tre rilievi dei quali uno a lato dell’epigrafe commemorativa e
due accanto al fornice. I rilievi sono separati da pannelli bassi con figure
amazzoniche e vittorie tauroctone. I pannelli sul pilone destro lato sud,
cominciando dall’alto, raffigurano Traiano al foro boario, il suo accoglimento
da parte del senato del popolo romano e dell’ordo equester e l’adventus di
Traiano. I pannelli sul pilone sinistro lato sud rappresentano, cominciando
dall’alto, l’accoglimento da parte della triade capitolina, un nuovo adventus
di Traiano e Traiano che procede al dilectus italico. Sul pilone destro della
facciata lato nord, cominciando dall’alto, troviamo i rilievi che raffigurano
la deduzione di colonie provinciali, la receptio in fidem di principi barbari,
la concessione della civitas alle truppe ausiliarie di confine, mentre sul
pilone sinistro, dello steso lato, accanto all’epigrafe c’è l’omaggio delle
divinità agresti provinciali, la restitutio daciae ed il dilectus provinciale.
Ornano l’architrave scene trionfali. Due i pannelli che adornano l’interno del
fornice: Traiano fra i Littori che compie sacrifici in occasione dell’apertura
della via traiana e nell’altro l’istituzione degli alimenta. Anche qui appaiono
Littori, città italiche personificate ed uomini con bambini per mano e sulle
spalle.
L’epigrafe
commemorativa dice:
IMP.CAESARI.DIVI.NERVAE.FILIO.NERVAE.TRAIANO.OPTIMO.AUG.
GERMANICO.DACICO.PONTIF.MAX.TRIB.POTEST.IXVIII.IMP.VII.COS.VI.P.P
FORTISSIMO.PRINCIPI.SENATUS.P.Q.R
Che
significa : All’imperatore Cesare Nerva Traiano, figlio del divino Nerva,
ottimo Augusto, Germanico, Dacico, Pontefice Massimo il Senato ed il popolo
romano nell’anno diciottesimo della tribunicia potestas e nel settimo
dell’impero.
Fu
nel medio evo la più importante porta della città detta perciò Port’Aurea. Il
Papa Pio IX la isolò facendo abbattere le mura che da esso si dipartivano per
collegarsi alla cinta muraria longobarda.
Il Teatro
Romano
L’epigrafe
posta alla base della scena ci informa che la costruzione del Teatro cominciò
al tempo dell’imperatore Adriano (II secolo d.C.).
E’ questa
una delle ragioni per cui non si tratta certamente del teatro nel quale,
secondo la testimonianza di Tacito, cantò Nerone, in visita alla città nel 64
d.C..
L’imperatore
inoltre assistette a spettacoli gladiatori, che non potevano realizzarsi in
questo teatro.
L’ingresso
del teatro Romano s’affaccia su Piazza Ponzio Telesino, a fianco alla chiesa
dedicata a Santa Maria della Verità.
Terminato su
finire del II secolo, il teatro Romano fu abbellito ed ingrandito da Caracalla
all’inizio del III secolo.
Ha un
diametro di circa 90 metri ed è sormontato da tre ordini di 25 arcate delle
quali le due superiori sono andate quasi completamente distrutte, mentre sono
in buono stato la Scena, che è stata restaurata, la Cavea semicircolare e gran
parte del primo ordine di arcate. Poteva contenere fino a 20000 spettatori.
Si tratta di
una costruzione dalle straordinarie caratteristiche strutturali che ne hanno
reso possibile la conservazione nel corso dei secoli.
Due
ambulacri paralleli, uno esterno l’altro interno, interrotti da corridoi e
scalinate di accesso ai piani superiori, fungevano da cassa armonica.
Infatti la
resa acustica eccellente del Teatro si basa su un sistema di amplificazione
naturale.
Sul lato
destro della scena ci sono marmi che fanno pensare all’esistenza di camerini
per gli attori che entravano in scena attraverso ingressi laterali.
Il teatro
conserva la completa agibilità ed ospita spettacoli classici e lirici, concerti
e lavori teatrali.
La Rocca dei Rettori
La Rocca
dei Rettori, affacciata su piazza IV Novembre, fu costruita, per iniziativa
dell’energico Rettore Pontificio Guglielmo de Balaeto, a partire dal 1321 al
posto di un fortilizio longobardo e comprese la Porta Somma che era una delle
porte di accesso alla città.
Nell’androne
della Rocca si possono infatti ammirare le sue vestigia. Forse, in epoca
romana, esisteva sul colle una roccaforte, con terrazzamento artificiale. Tale
ipotesi si fonda sul ritrovamento di un basamento di blocchi di pietra
squadrata, nel 1913, durante lavori di restauro.
Le sculture
sul muro perimetrale della Rocca fanno pensare, invece, alla esistenza di una
tomba monumentale sull’Appia che
attraversava il colle.
Sono state
rinvenute tombe a inumazione appartenenti presumibilmente all’VIII secolo a.C.
e sepolture di epoca sannita.
La Rocca dei
Rettori è formata dal Castrum Novum, la Rocca, alta 28 metri escluse le piccole
torri, e dal Palatium Antiquum, il Palazzo dei Governatori Pontifici, che
risale al XVIII secolo e sorse sul trecentesco monastero delle Benedettine di
Santa Maria di Porta Somma.
I
rappresentanti pontifici risiedevano, in un primo tempo, nel Sacrum Palatium di
Piano di Corte, ma poi, a causa dei frequenti tumulti popolari, il Papa
Giovanni XXII volle per i suoi uomini
una sede più sicura, che ne garantisse l’incolumità e consentisse di
controllare dall’alto sia la città che la valle del Sabato.
Perciò
scelse un luogo che da sempre era roccaforte. Una iscrizione in latino ne
ricorda l’evento (5 luglio 1320 Papa Giovanni XXII).
Lo stesso
Giovanni XXII ordinò la costruzione di quattro torri agli angoli della
fortezza.
Ne vennero
costruite solo due per problemi economici. Sono torri circolari; di esse quella
di sud-ovest ha la base ottagonale alla maniera dei castelli svevi.
Dell’edificio
trecentesco è rimasto solo il mastio a tre piani. Il palazzo dei Governatori è
lungo 40 metri, largo 8 ed alto 24 dal livello stradale. Era circondato da fossati
profondi sei metri, oggi ricoperti e vi si accedeva mediante ponti levatoi.
Un
bellissimo giardino con reperti di epoca romana e longobarda, ritrovati
nell’area adiacente, fa da corona al complesso monumentale.
Da esso si
gode un bellissimo panorama sulla valle del fiume Sabato.
Per
realizzare la struttura della Rocca venne usato materiale di risulta
proveniente da edifici romani: stele funerarie, lapidi e fregi architettonici.
L’edificio
presenta i segni evidenti di ricostruzioni operate in varie epoche.
Sotto la
pavimentazione del cortile scoperto sono stati trovati una grossa cisterna
ed i resti
di un acquedotto romano.
Nella torre
ci sono i resti di prigioni, utilizzate in epoche diverse.
Dopo le
lotte tra Aragonesi ed Angioini, la Rocca divenne feudo dei Borgia. Venne
notevolmente danneggiata durante le insurrezioni popolari contro il papato,
finché, nel 1586, fu adibita esclusivamente a carcere della città.
Fu allora
che furono ricoperti i fossati non più necessari. La Rocca resistette ai violenti
terremoti del 1688 e del 1702.
Tuttavia,
nel 1703, Papa Clemente XI iniziò il restauro della Rocca aggiungendo un’ala
alla parte prospiciente il giardino.
Quando il
ducato di Benevento divenne provincia, fu demolita la Porta Somma e fu creata
la rampa carrabile, il nuovo ingresso sul lato del giardino, l’androne
principale e lo scalone di ingresso.
Numerosi
restauri hanno interessato la Rocca in quest’ultimo secolo. Dal 1960 è sede
della Sezione Storica del Museo del Sannio.
Il Duomo
La struttura
attuale del Duomo di Benevento è stata realizzata su progetto dell’Architetto
Paolo Rossi de Paoli dopo che la Cattedrale fu distrutta dai bombardamenti del
1943. Dell’antica struttura si salvarono la facciata d’epoca romanica del XIII
secolo ed il campanile coevo, nonché la cripta che risale all’VIII secolo e
presenta frammenti di affreschi trecenteschi.
Il primo
nucleo della Chiesa Longobarda intitolata a Santa Maria divenne sede episcopale
nel 973. Successivamente si venne ampliando acquisendo la struttura romanica
completa verso il 1100 sotto l’Arcivescovo Ruggero e nel 1278 venne eretto il
campanile.
La Chiesa
Romanica era a tre navate come testimonia la zoccolatura del campanile che
coincide con il limite esterno della prima navata laterale di sinistra. Le due
navate esterne sono state aggiunte dopo il terremoto del 1456.
Completati e
sviluppati in fasto e ricchezza verso la metà del 1600, il Duomo e l’Episcopio
vennero distrutti dal terremoto del 1687, che lasciò pressoché intatti solo il
campanile e la facciata.
L’Arcivescovo
Vincenzo Maria Orsini rinnovò completamente la Cattedrale, conservando la
facciata ed il campanile romanici e lo schema a cinque navate, ma decorando
riccamente l’interno che di romanico non conservò più nulla. L’altare fu
sistemato più avanti quasi sotto l’arco trionfale ed una scala centrale e due
scale laterali portavano dalla navata centrale e dalle due prime navate minori
al presbiterio.
La navata
centrale era decorata riccamente a stucchi e le finestre erano molto alte per
potersi affacciare sui tetti delle navate laterali. Anche il soffitto era
cassettonato, intagliato e dorato.
I
bombardamenti del 1943 hanno duramente colpito sia la Cattedrale che
l’Episcopio, distruggendoli completamente e nulla si è conservato delle opere
decorative del Tempio, eccetto poche colonne della navata di destra sistemate
attualmente nella cappella del S.S. Sacramento.
L’ultima
ricostruzione, per rispondere ad esigenze di culto, ha apportato varie
modifiche quali lo spostamento dell’altare maggiore coperto da un solenne
baldacchino, l’abolizione di altari secondari, l’innalzamento del soffitto
delle navate laterali, l’allargamento della navata centrale e l’apertura di
porte laterali.
La navata
centrale, inoltre, è stata interrotta a circa tre quarti di essa in modo che da
formare un transetto che allarga la visibilità sull’arco trionfale e da
maggiore solennità al presbiterio. Ai lati dell’arco si aprono due archi
minori.
In
Cattedrale si accede attraverso un vestibolo alla cui destra c’è il Battistero
ed alla sinistra la statua di San Bartolomeo, Patrono di Benevento, opera di
Nicola da Monteforte del XIV secolo.
Sulla
sinistra entrando è stato collocato un’urna cineraria marmorea che custodisce
le Sacre Reliquie dell’antica Cattedrale salvate dai bombardamenti del 1943 e
riportate all’interno del Duomo per volere del Vescovo Metropolita Carlo
Minchiatti.
Sulla destra
è collocato il Crocifisso ligneo del XVIII secolo detto “dei Liberati”, perché
nel giorno del Venerdì Santo si liberava davanti ad esso un carcerato.
Si
susseguono sulle pareti laterali vari mosaici raffiguranti scene sacre.
Il mosaico
che adorna il grande arco trionfale è opera di Elena Schiavi e raffigura le
storie della Vergine e la sua Assunzione e, in basso ai lati dell’arco, i Papi
Pio IX e Pio XII. Ai lati del grande scalone che porta al Presbiterio si ergono
gli amboni di marmo adornati con pannelli di bronzo di V.D. Colbertaldo,
rappresentanti i dodici Apostoli.
Sul lato
sinistro c’è l’ingresso alla cripta.
In corrispondenza
del transetto si trova la cappella del S.S. Sacramento, a forma quadrangolare,
costruita con quanto si è salvato del vecchio Duomo come le colonne di marmo
bianco scanalato con capitelli dorici che sostengono la trabeazione adorna di
bassorilievi raffiguranti la Pesca Miracolosa, La Moltiplicazione dei Pani,
l’Ultima Cena, ed il miracolo di Bolsena opera di Valerio de Corsent.
Il pannello
marmoreo dell’altare raffigurante la Natività risale al XVIII secolo.
Sulla destra
della cappella è collocata la statua, in marmo bianco, di San Giuseppe Moscati
medico beneventano.
L’antico
Duomo aveva porte di Bronzo di inestimabile valore come solo diciotto
Cattedrali in tutta Italia. Esse si componevano di 36 formelle per battente. Le
prime 44 rappresentavano momenti salienti della vita di Gesù, altre 24 erano
iconografie del Metropolita e dei Vescovi Suffraganei; 4 protomi (figure
d’ornamento) raffiguranti teste di grifo e di leopardo cinte da un anello.
Le formelle
erano tenute insieme da 80 cornici orizzontali e 90 verticali, 100 chiodi con
testa bronzea a forma di rosetta e cardini, battenti e serramenti. Durante i
bombardamenti del 1943 le porte di bronzo si sono fuse nell’incendio che ne
conseguì. Le formelle, che in un primo tempo sembravano disperse, si vanno
ritrovando ed una volta complete torneranno ad essere ricomposte e collocate
internamente al Duomo.
La facciata
del Duomo, risalente al XIII secolo, è ornata di marmi provenienti da tombe
longobarde dei principi di Benevento e di altri insigni personaggi, un tempo
collocate in uno spazio antistante al Duomo e chiamato “Paradiso”. Tra i marmi
di vari tagli e sfumature spiccano l’epigrafe funeraria di Davide, Vescovo di
Benevento del 796 e quella di Sicone, principe di Benevento dell’832.
Quest’ultima è un epitaffio in versi, composti forse da un poeta di corte, in
cui si celebrano le nobili origini del principe ed i principali avvenimenti
della sua vita. L’epitaffio si presenta nella caratteristica scrittura
beneventana epigrafica dei secoli IX e X.
La facciata
presenta due ordini di archi dei quali i primi sono tutti ciechi, mentre i
secondi sono illuminati da tre rosoni e sormontati da statue di leoni e di
vitelli. Nel sesto arco cieco del secondo ordine, sul corpo di una statua
romana decapitata, fu collocato l’unico ritratto di principe longobardo.
Nell’Episcopio
ha sede l’abitazione del Vescovo Metropolita e della Curia Arcivescovile.
Il Tempio della Madonna delle Grazie
Il Tempio
della Madonna delle Grazie fu costruito a partire dal 1839 su progetto dell’ing. Vincenzo Coppola e terminato solo
sul finire del 1800 in seguito alle vicende risorgimentali.
Fu consacrato
il 16 Giugno 1901 dal Cardinale Donato Maria Dell’Olio Arcivescovo di
Benevento.
Il tempio
nasce come ringraziamento dei cittadini beneventani alla Madonna delle Grazie
per la protezione avuta in occasione del colera del 1836 che mieté migliaia di
vittime in tutta Italia. Il voto del popolo beneventano venne solennemente
pronunciato il 1 Novembre 1836 nel Duomo durante una messa celebrata dal
Cardinale Bussi Arcivescovo di Benevento.
In occasione
del secondo centenario dell’incoronazione della Madonna, 1723-1923, sul
frontone del pronao fu apposta la scritta GRATIARUM MATRI CIVIUM VOTO DICATUM,
ovvero: Dedicato per voto dei cittadini alla Madonna delle Grazie.
L’edificio,
a croce greca, è preceduto da un pronao con sei colonne alla cui sommità si ergono
le statue dei Santi Protettori della Città: Sant’Antonio, San Barbato, san
Francesco, San Bartolomeo, San Gennaro e San Rocco. Più in alto c’è una statua
della Madonna con Bambino.
Sull’ingresso
il saluto dell’Angelo Gabriele a Maria, ai lati del portone di legno appaiono,
a sinistra, la statua di Papa Benedetto XIII ed, a destra, quella di Leone
XIII.
La Basilica
prende luce da una grande cupola centrale e da vetrate laterali colorate. E’ un
tempio maestoso, con sei altari laterali oltre quello maggiore. Sull’altare
maggiore è collocata la bellissima statua lignea della Madonna delle Grazie,
opera di Giovanni da Nola, che risale al XVI secolo, già custodita nell’antica
Chiesa di San Lorenzo. La statua raffigura la Madonna con Gesù Bambino che con
la mano destra benedice, mentre con la sinistra regge la mela del peccato
originale cercando di sottrarla alla vista della Madre.
Accanto
all’altare di San Francesco è posta la lampada votiva alimentata dall’olio
donato dai comuni appartenenti alla provincia monastica francescana
sannito-irpina. Le stazioni della via Crucis e la statua in bronzo di Giovanni
Paolo II, posta fuori la chiesa, sono opera di Padre Andrea Martini.
Il ponte Leproso
Il ponte Leproso risale al I secolo avanti Cristo. Fu
realizzato sul fiume Sabato dai Sanniti e poi restaurato da Appio Claudio e
dagli imperatori Lucio Settimio Severo e Marco Aurelio Antonino nel 203 d.C..
Era importante via di ingresso in città attraverso la Via
Appia che partiva da Roma e che da Benevento proseguiva per Brindisi, porta
d’accesso all’Oriente.
E’ costituito da quattro arcate, un tempo cinque, realizzate
da Giovan Battista Nauclerio che riparò i danni subiti nel terremoto del 1702.
Ha una solida struttura tipicamente romana a schiena d’asino
e conserva diversi elementi originari.
Aveva
anticamente un altro nome, “Marmoreo”, perché quello attuale gli deriva dalla
presenza, nell’alto medioevo, di un lebbrosario nelle vicinanze.
Era chiamato
nell’800 anche ponte di San Cosimo, da una piccola chiesa, situata nelle
vicinanze e dedicata al santo.
Totila, nel
VI secolo, infierì, durante lo sterminio di Benevento, anche su questo ponte. I
terremoti e le alluvioni che si sono susseguiti nella città lo hanno
danneggiato più volte.
Per questo
ponte transitarono Cicerone, Orazio, Giulio Cesare, Vespasiano, Augusto ed
anche dottori della Chiesa e Sommi Pontefici.
Lo storico D.M.Zigarelli afferma che fu questo il ponte, e
non il Ponte Vanvitelli sul Calore, presso il quale Manfredi di Svevia fu vinto
da Carlo I d’Angiò e tumulato dalla pietà dei vincitori.
Port’Arsa
Su via Torre
della Catena, tra le mura longobarde, s’apre Port’Arsa, splendida porta
d’accesso all’area del Teatro Romano.
E’ detta
così perché fu ricostruita dopo un incendio che la distrusse in parte o anche,
secondo altri storici, dalla vicina Calcara, divoratrice di frammenti di
monumenti.
E’ stata
costruita con pietre provenienti da monumenti romani. Posta tra le mura
longobarde, era, in epoca longobarda, una delle sette porte di accesso alla
città.
A pochi
metri da Port’Arsa, tra la strada ed il fiume Sabato, si erge la Torre della
Catena, a pianta quadrata.
E’ ciò che
resta di un fortilizio longobardo, un tempo staccato dalla cinta muraria per
mezzo di un fossato.
Dalla
Torre della Catena, secondo alcune ricerche recenti, si dipartiva un
criptoportico romano, detto dei Santi Quaranta, vale a dire la muraglia di un
grandissimo emporio romano, diviso in celle.
Da esso
prende nome la contrada Cellarulo, zona archeologica, oggetto tutt’oggi di
scavi, sede dell’antico porto fluviale di Benevento. L’area visitabile si
estende fino alle spalle della Basilica della Madonna delle Grazie.
La chiesa di Santa Sofia
Sulla piazza dedicata a Giacomo Matteotti si affaccia la
Chiesa di Santa Sofia, costruita nel 762 dal Principe longobardo di Benevento
Arechi II e dedicata alla “Santa Sapienza” così come il Tempio di Santa Sofia
in Costantinopoli. Fu il tempio ufficiale dello Stato, frequentato da Pontefici
e Imperatori.
E’ stata
restaurata in varie epoche, ma ha conservato la pianta originale, per metà
circolare con tre absidi e per metà stellare.
L’esagono
centrale è delimitato negli angoli da sei colonne, sormontate da capitelli
compositi romani e collegate tra loro da archi in mattoni con tre absidi.
L’esagono è
inscritto in un decagono delimitato da otto pilastri e due colonne poste
all’ingresso.
Colonne e
pilastri sono collegati sia al perimetro murario che all’esagono centrale da
archi.
All’interno della
Chiesa si possono ammirare i resti degli affreschi dell’VIII secolo.
Nell’abside sinistra, è la Storia di San Giovanni Battista.
Quindi
l’angelo che annuncia a San Zaccaria la futura nascita del figlio e il santo
che resta muto perché incredulo.
Nell’abside
destra, invece, si può intravedere l’Annunciazione alla Vergine e la visita a
Sant’Elisabetta.
Costruita a
fasce di tufo squadrato e listelli di mattoncini romani, la chiesa presenta una
facciata spoglia ed essenziale.
Nella
lunetta sovrastante il portale si possono ammirare la Vergine, Cristo in Trono,
San Mercurio e l’Abate Giovanni IV che spiccano sullo sfondo a mosaico dorato.
Attiguo alla
Chiesa è il Chiostro, antico monastero di suore benedettine, fatto costruire
anch’esso da Arechi II e di cui fu prima Badessa sua sorella Gariperga.
Ha pianta
quadrata ed è circondato da una struttura ad archi delimitata da sedici
pilastri tra i quali si aprono quindici quadrifore ed una trifora sormontate da
archi poggianti su mensole. Le colonnine sono di granito, alabastro e calcare,
con pregiati capitelli e pulvini romanici e poggiano su un basamento alto
cinquanta centimetri.
Sono
quarantasette, tutte diverse tra loro, numerate in senso antiorario a partire
da quella raffigurante San Benedetto in Trono sul lato sud.
Nei locali
adiacenti al Chiostro ha sede il Museo del Sannio dove sono custoditi reperti
archeologici delle varie epoche storiche vissute dalla città e rinvenuti
localmente, nonché una pinacoteca e la biblioteca provinciale.
Sulla
piazza, un tempo intitolata a Carlo Maurizio Talleyrand, ministro degli esteri
di Napoleone, sorge l’obelisco innalzato nel 1809 in suo onore dopo che ebbe in
feudo, con il titolo di Principe, il territorio di Benevento e lo curò da
lontano mediante un governatore.
Sul lato
della piazza si erge il campanile che un tempo era sul muro di cinta della
chiesa.
La chiesa di San Bartolomeo
La chiesa
di San Bartolomeo fu costruita, nel luogo dove si trova attualmente e dove un
tempo esisteva la Chiesa parrocchiale di San Martino, dopo i terremoti del 1688
e del 1702 per sostituire la vecchia Basilica che si ergeva nei pressi del
Duomo dove oggi è posta la Fontana a Papa Orsini.
Fu costruita
tra il 1726 ed il 1729 e consacrata dal Papa Benedetto XIII. E’ opera di
Filippo Raguzzini, il quale utilizzò un primitivo progetto di Fra Tommaso di
San Giovanni, priore di San Diodato, ma apportò sostanziali modifiche, come la
trasformazione delle tre navate originarie in un’unica navata con cappelle
laterali.
La chiesa
presenta decorazioni a stucchi ed un’importante “Cathedra Lignea”.
La chiesa di San Francesco
Nel cuore
della Benevento medievale s’erge il complesso monumentale dei Frati Minori
Conventuali costituito dalla Chiesa di San Francesco del XIII secolo. e
dall’annesso convento. La chiesa deriva il nome dal Santo d’Assisi, il quale vi
soggiornò nel 1222 durante il suo pellegrinaggio al Gargano.
Già nel 1260
i Conventuali di Benevento avevano giurisdizione su vari conventi del Sannio,
dell’Irpinia e di Terra di Lavoro. Il convento fu sede di noviziato fino
all’invasione napoleonica, che trasformò il complesso in uffici e depositi
militari. Il 5 Aprile 1959 i Conventuali ritornarono in possesso della
struttura e si adoperarono pazientemente a ripristinare il volto originario del
Convento. Il 21 Dicembre 1968 la chiesa è stata riaperta al culto.
Essa si
presenta ad una sola navata nuda e lineare nello stile, con abside gotica, che
reca tracce pittoriche di scuola napoletana, testimoni di un fecondo periodo
culturale beneventano.
Probabilmente,
un tempo, gli affreschi ricoprivano interamente le pareti.
La parete di
fondo è abbellita, da qualche anno, da una stupenda vetrata raffigurante
momenti di vita del Santo.
A destra
della vetrata si può ammirare un affresco quattrocentesco che rappresenta,
nella parte superiore la S.S. Trinità tra la Madonna e l’Evangelista Giovanni,
e, nella parte inferiore, un trittico che riproduce San Bartolomeo, San
Giovanni Battista e San Francesco.
Sulla parete
di destra ci sono frammenti di affresco di pittura napoletana di tipo
giottesco-masiano, risalenti circa al 1360 che riproducono
la Madonna
dell’Umiltà su sfondo azzurro, ed a fianco, sotto un’arcata, una Resurrezione,
anch’essa deteriorata.
Sulla parete
di sinistra appare un frammento di affresco che ritrae il nobile Pietro
Stampalupo in preghiera davanti a Cristo.
Insieme al
fratello Landolfo, il 31 Gennaio 1243 Pietro Stampalupo donò ai Frati
Conventuali la Chiesa di San Costanzo ed altri beni.
In alto,
sulle pareti della navata si aprono belle e luminose vetrate raffiguranti, tra
gli altri, San Bonaventura, il Beato Dunz Scoto e Sant’Antonio.
Nel pronao
che si apre sulla piazza con tre archi a tutto sesto su colonne, ci sono tracce
di dipinti di una Madonna in Trono e di un Pellegrino.
Due sono i
chiostri, oggi completamente riportati alla luce, che si aprono all’interno
dell’edificio conventuale.
Il più
grande, a pianta quadrata, è formato da volte sorrette da archi e da colonnine
romane.
Nel centro
di aiuole ben curate s’erge la statua del Santo.
L’altro, a
pianta rettangolare, di minori proporzioni, presenta archi e grossi pilastri in
muratura, senza decorazioni.
In
un’edicola del primo chiostro si può ammirare un affresco frammentario
raffigurante un Santo Vescovo bizantino.
La chiesa di San Domenico
Restaurata
di recente, la chiesa di San Domenico risale al XVIII secolo e sorge tra il
palazzo Ferragnoli e l’ex convento di San Domenico di cui un tempo era parte
integrante.
A destra dell’ingresso principale,
in una nicchia vuota comparve, qualche tempo fa, il volto di Padre Pio, che ha
riacceso la fede del popolo beneventano nel Santo di Pietrelcina.
La chiesa si presenta a croce
latina. L’altare principale risale al 1727 ed è ornato di marmi policromi. Sull’altare
il Crocifisso. Alle spalle dell’altare un coro ligneo ed un dipinto di
Francesco de Angelis. A destra dell’altare si possono ammirare frammenti di un
affresco della Madonna del Rosario o forse di Montevergine ed una preziosa pala
in legno del XVII secolo, raffigurante la Madonna del Rosario. Bellissimo
l’organo sullo stesso lato. A sinistra, sull’altare laterale c’è un dipinto di
Nicola Boraglia del 1695 ed ai lati monumenti funebri del generale napoleonico
Conte Carlo Antonio Manhès e di altri suoi familiari. Ai lati della navata
principale ci sono altari laterali fra i quali quello del Crocifisso e quello
di San Domenico. Preziose le volte a cupola . Un’urna di vetro, su un altare
laterale, conserva le ossa di una Santa non identificata, trovate tra le
macerie della Chiesa di Santa Teresa come pure un confessionale ligneo
restaurato. Il portale d’ingresso è preceduto da un pronao di archi e colonne.
L’Hortus Conclusus
L’Hortus
Conclusus, giardino chiuso, ossia ambiente raffinato, é stato inaugurato il 26
Giugno 1992 ed è ubicato nella Corte di San Domenico.
Vi si accede
sia dai saloni a piano terra del convento sia dal suggestivo Vico Noce.
E’ una mostra
permanente di alcune opere del celebre maestro Mimmo Palladino, tra cui il
Cavallo dalla Maschera d’Oro che domina, dal punto in cui è posizionato, uno
spazio aperto.
Le opere scultoree sono distribuite
in un’oasi di verde, nel cuore della città medievale, percorribile in una
piacevole passeggiata.
Il Ponte Vanvitelli
Il Ponte
Vanvitelli sul Calore è opera del grande architetto Luigi Vanvitelli, autore
della Reggia di Caserta.
L’opera
risale al 1767 sotto il pontificato di Pio VI e presentava sei luci ma nel 1960
il ponte è stato rifatto a tre arcate per consentire il passaggio più rapido
delle acque.
Oggi collega
Via Posillipo con Piazza Bissolati ed il Viale Principe di Napoli, alla cui
estremità si trova la Stazione ferroviaria “Benevento Centrale”. Nei pressi del
ponte si trova il Monumento a Manfredi di Svevia.
Un tempo,
all’inizio del ponte, c’era la Porta Pia, ex porta Calore e Porta Gloriosa, una
delle sette porte della Benevento longobarda, ricostruita sotto il pontificato
di Pio VII da cui prese nome.
La Villa
Fu realizzata
nel 1879 su progetto di Alfredo Dehnardt ed è una delle più belle ville
d’Italia.
Vi si
intrecciano viali ed aiuole ben curate con alberi secolari, laghetti con pesci,
cigni ed anatre, fontane a zampilli, busti di illustri sanniti tra i quali quello
del clinico Gaetano Rummo opera di Filippo Cifariello, panchine e parco giochi.
Al centro si erge la cassa armonica, nella quale si tengono concerti estivi. L’ingresso
principale si apre su piazza IV Novembre, dove sorge il Monumento ai Caduti,
nei pressi della Rocca dei Rettori.
Il "Bue" Apis
All’inizio
del Viale San Lorenzo, sul lato destro, sorge il monumento al Toro Apis del I
secolo d.C..
Esso
proviene dal Tempio di Iside di Benevento, fatto costruire da Domiziano
nell’anno 88 d.C. e fu posto sul piedistallo, dove si può ammirare tutt’oggi,
nel 1629. In esso è incisa una falsa epigrafe, che vuole la bufala simbolo
delle vittorie sannite. Anche il termine bue è improprio, perché nel monumento
si cela il dio egizio Apis che aveva l’aspetto di Toro.